La coltivazione della vite e la produzione di vino in Puglia è attestata fin dal terzo millennio a.C.. Nel territorio gioiese vi sono delle testimonianze a partire almeno dall’VIII secolo a.C., come dimostrano i numerosi ritrovamenti di vasi vinari di quel periodo nella zona di Monte Sannace, a pochi chilometri da Gioia del Colle (alcuni di questi reperti si possono ammirare nel museo archeologico sito nel castello Normanno-Svevo di Federico II di Svevia a Gioia del Colle).
La produzione vitivinicola pugliese è ben nota e florida per tutto il periodo romano. Dopo la caduta dell’Impero Romano la vitivinicoltura sarà preservata, come accade in quasi tutta Europa, principalmente grazie ai vigneti coltivati nei terreni dei monasteri e delle abbazie, e in particolare, per quanto riguarda la Murgia, dai monaci benedettini. È con Federico II che riparte la produzione, tanto che nel 1362 Giovanna I d’Angiò promulga una legge a protezione del vino pugliese che proibisce l’introduzione di vino prodotto in altre regioni. Va ricordato anche Andrea Bacci, che nel suo De naturali vinorum historia pubblicato nel 1596, descrive i vini prodotti nella zona di Bari come di “ottima qualità”.
Lo sviluppo della vitivinicoltura gioiese a partire dalla fine del XVIII secolo si intreccia d’altronde in maniera inestricabile con quella del primitivo.
Il primo a individuare il primitivo e a effettuare una sorta di selezione massale del vitigno è stato l’abate primicerio Francesco Filippo Indellicati. Nato nel 1767 e cresciuto a Gioia del Colle, esperto di botanica e agronomia, notò tra le molte uve da vino presenti nelle campagne gioiesi alcune vecchie vigne di una varietà che maturava prima delle altre e che sembrava essersi meglio adattata alle terre rosse di queste zone. L’Indellicati decise di dare alla varietà il nome latino di primativus che nel dialetto locale divenne primaticcio o più comunemente “primativo”, e ne selezionò con cura un numero consistente di tralci (625) che impiantò in contrada Liponti in otto “quartieri” di vigna, corrispondenti grosso modo a 1,26 ettari, creando così la prima monocoltura di uve primitivo che si ricordi. La forma di impianto era già allora il ceppo basso, divenuto poi nel tempo l’alberello pugliese. Il successo fu immediato: in poco tempo moltissimi dei terreni nell’arco di due chilometri dall’abitato gioiese risultavano coltivati a primativo e il vitigno divenne oggetto di coltivazione su un’area molto più vasta, grazie soprattutto all’opera dei monaci benedettini.
A partire dal 1820 ci sono notizie storiche dell’inizio della coltivazione del vitigno nell’agro di Acquaviva delle Fonti. Un po’ per la qualità dei suoli e un po’ per la maggiore gradazione alcolica, il comune di Acquaviva delle Fonti divenne il posto dove si decidevano le quotazioni dell’uva del comprensorio. Alla fine del secolo XIX sono circa 600 gli ettari che nel solo agro di Gioia del Colle risultano essere coltivati a primativo.
Nel 1882 si ha notizia della nascita della prima azienda viticola nell’agro di Santeramo in Colle da parte del conte Luigi Patroni Griffi de Laurentis per un’estensione complessiva di 40 ettari, la maggior parte dei quali coltivata a primativo. Ed è sempre da Gioia del Colle che alla fine del secolo il vitigno si sposta a Manduria nell’ambito della dote portata dalla Contessa Sabini di Altamura a Tommaso Schiavoni Tafuri.
Agli inizi del '900 nella zona di Gioia del Colle si produce soprattutto vino da vermouth, e nei decenni successivi tanto vino da taglio, che va a rinforzare vini di altre regioni d'Italia, e da tavola. Le prime bottiglie etichettate con il nome di Gioia del Colle Primitivo sono degli anni '60, mentre la prima bottiglia a denominazione di origine è del 1987.